Lepanto

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La battaglia di Lepanto – detta anche delle Echinadi o delle Curzolari (in turco Inebahti, corruzione di Naupakatos, località sul Golfo di Corinto dove essa avvenne, chiamata Epaktos dagli abitanti e Lepanto dai veneziani) – si svolse il 7 ottobre 1571 tra una flotta cristiana e una ottomana.

Le forze navali dell’Impero Ottomano si scontrarono con la flotta della cosiddetta “Lega Santa”, salpata dal porto di Messina, che aveva riunito le forze navali della Repubblica di Venezia (150 navi tra cui galee, navi da carico, imbarcazioni minori e 6 galeazze), della Spagna (79 galee), del Papa (12 galee toscane a nolo), oltre al contributo decisivo di Genova con 28 galee, piu’ altri contributi minori di alcuni Stati Cristiani, dei Cavalieri di Malta e dei Cavalieri del Sacro Ordine Societas Jesu Christi.

La flotta Cristiana era affidata al comando di Don Giovanni d’Austria affiancato da Marcantonio Colonna per omaggio al Papa, mentre quella turca era guidata dall’ammiraglio Mehmet Alì Pascià.

Prodromi

La coalizione cristiana fu promossa dal Papa Pio V per soccorrere la città di Famagosta, nell’isola di Cipro, assediata dai Turchi e vanamente difesa da Marcantonio Bragadin.

Accadde che il 5 ottobre la flotta cristiana si fermò nel porto di Viscando, non lontano dal luogo della battaglia di Azio. C’era nebbia e un forte vento. Le galee non potevano prendere il mare. Un brigantino portò la notizia della caduta di Famagosta (in turco Famagusta; in greco Ammocosthos) e dell’orribile fine inflitta dai musulmani a Marcantonio Bragadin, il senatore veneziano comandante la fortezza. Il 1° agosto i veneziani si erano arresi con l’assicurazione di poter lasciare l’isola di Cipro. Mustafà Lala Pascià, il comandante turco che aveva perso più di 52.000 uomini nell’assedio, non mantenne la parola. I soldati veneziani furono imprigionati e incatenati ai banchi delle galee turche. Venerdì 17 agosto Bragadin venne scorticato vivo di fronte ad una folla di musulmani esultanti. La pelle di Bragadin venne riempita di paglia. Il manichino fu innalzato sulla galea di Mustafà Lala Pascià insieme alle teste di Alvise Martinengo e Gianantonio Querini. I macrabri trofei furono poi inviati a Costantinopoli, esposti nelle strade della capitale ottomana ed infine portati nella prigione degli schiavi.

La flotta cristiana prosegue nonostante il maltempo verso Cefalonia dove sosta brevemente. Il 6 ottobre le navi giungono davanti al Golfo di Patrasso. Domenica 7 ottobre Giovanni d’Austria fa’ schierare le proprie navi in formazione serrata. Non più di 150 metri separavano le galee. Venne costituita una formazione a croce e venne deciso di dar battaglia.

Lo schieramento

Don Giovanni d’Austria viene nominato comandante della flotta cristiana. Ventiseienne figlio illegittimo del defunto Imperatore Carlo V e fratellastro del regnante Filippo II era tra i più abili condottieri dell’epoca. Il Genovese Giovanni Andrea D’Oria, trentunenne figlio di Giannettino D’Oria (morto durante la congiura dei Fieschi), nipote ed erede del grande Ammiraglio Andrea D’Oria era il comandante della flotta spagnola per la Lega e della flotta Genovese, legni condotti in battaglia dai nobili Ettore Spinola e Giorgio Grimaldi di Genova. Pietro Giustiniani comanda la flotta dell’Ordine di Malta e Andrea Provana di Leinì comanda la flotta dei Savoia.

Lo schieramento delle navi cristiane vedeva all’ala sinistra 53 galee prevalentemente veneziane al comando di Agostino Barbarigo. In posizione centrale vi erano 61 galee miste: quelle spagnole di Don Juan d’Austria, altre veneziane al comando dell’anziano settantacinquenne Sebastiano Venier e le navi pontificie di Marcantonio Colonna, trentaseienne, comandante per la flotta pontificia composta da galee toscane noleggiate. Chiudeva lo schieramento a destra il gruppo di 53 navi prevalentemente genovesi comandate dall’ammiraglio Giovanni Andrea D’Oria poi decisivo per l’esito della battaglia. La preziosa retroguardia Cristiana comandata dal Marchese di Santa Cruz contava su 38 galee. In totale la flotta cristiana si compone di 6 galeazze, circa 205 galee, 30 navi da carico, circa 13000 marinai, circa 44000 rematori, circa 28000 soldati con circa 1800 cannoni.

I Turchi schieravano l’ammiraglio Mehmet Shoraq (detto Scirocco) all’ala destra con 55 galee, il comandante supremo Mehmet Alì Pascià (detto il Sultano) al centro con 90 galee conduceva la flotta a bordo della sua ammiraglia Sultana, su cui sventolava il vessillo verde sul quale era stato scritto 28.900 volte a caratteri d’oro il nome di Allah. In fine l’ammiraglio, considerato il migliore comandante ottomano, Uluc Alì (Giovanni Dionigi Galeni), un abiurato di origini calabresi convertito all’Islam (detto Occhiali), presiedeva all’ala sinistra con 90 galee; nelle retrovie schieravano 10 galee e 60 navi minori comandate da Amurat Dragut (figlio di un noto e temutissimo corsaro).

La battaglia

La battaglia (la terza in ordine di tempo e la maggiore svoltasi a Lepanto) si concluse con una schiacciante vittoria delle forze alleate, frutto anche d’una manovra che gli storici non sanno ancora se progettata o frutto di iniziativa personale.

L’esca

Per cominciare Don Giovanni decide di lasciare isolate come esca le poche ma fortissime galeazze veneziane al comando di Antonio e Ambrogio Bragadin, parenti del senatore scorticato vivo, camuffandole da navi da carico, le quali all’avvicinarsi dei Turchi ignari, gli scaricano cannonate con una potenza di fuoco probabilmente mai vista prima al mondo fino a quel giorno. Le linee Ottomane subiscono molte perdite ma Ali Pascia in preda a furore bellico supera di slancio le galeazze senza impegnarle in battaglia e scaglia tutta la sua flotta in uno scontro frontale; mirano unicamente all’abbordaggio della nave di Don Giovanni per provare ad ucciderlo subito, ed essendo in superiorita’ numerica (167-235) tentano di circondarla utilizzando la tattica navale classica; pur se nell’ambito di diversi comandanti turchi non poche voci si erano espresse in senso contrario, il temperamento ed il carisma del Sultano Ali’ Pascia’ spinge i Turchi, in favore di vento, a scatenare la battaglia.

Lo scontro

Per i cristiani gli scontri all’inizio coinvolgono pesantemente il veneziano Barbarigo, che e’ alla guida dell’ala sinistra e posizionato sottocosta; deve parare il colpo di Scirocco, impedire che il nemico possa insinuarsi tra le sue navi e la spiaggia per accerchiare la flotta cristiana. La manovra ha solo un parziale successo e lo scontro si accende subito violento. La stessa galea di Barbarigo diventa teatro di un epica battaglia nella battaglia con almeno due capovolgimenti di fronte. Ferito gravemente alla testa, Barbarigo muore e le retrovie devono correre in soccorso dei veneziani per scongiurare la disfatta: con l’arrivo della riserva del Marchese di Santa Cruz le sorti si riequilibrano ed anche Scirocco viene catturato, ucciso e decapitato.

Al centro degli schieramenti Alì Pascià cerca e trova la galea di Don Giovanni d’Austria la cui cattura risolverebbe definitivamente lo scontro. Contemporaneamente altre galee impegnano Venier e Marcantonio Colonna. Molti sono gli episodi di eroismo: l’equipaggio della galera Fiorenza dell’Ordine di Santo Stefano viene tutto ucciso salvo il suo comandante Tommaso de’ Medici con quindici uomini. Sulla galea di Don Giovanni invece si ripete lo scontro a cui ha partecipato Barbarigo, e la battaglia frontale si fa’ cruenta. Con un rumore assordante i Turchi iniziano l’assalto alle navi di Don Giovanni suonando timpani, tamburi, flauti. Il vento e’ a loro favore. La flotta di Don Giovanni e’ nel più assoluto silenzio. Quando i legni giungono a tiro di cannone i cristiani ammainano tutte le loro bandiere e Don Giovanni innalza lo stendardo con l’immagine del Redentore Crocifisso. Una croce venne levata su ogni galea e i combattenti ricevono l’assoluzione secondo l’indulgenza concessa da Pio V per la crociata. Il vento improvvisamente cambia direzione. Le vele dei Turchi si afflosciano e quelle dei cristiani si gonfiano. Don Giovanni d’Austria punta diritto contro la Sultana. Il reggimento di Sardegna da’ l’arrembaggio alla nave turca che diviene il campo di battaglia. I musulmani a poppa e i cristiani a prua. Al terzo assalto i sardi arrivano a poppa. Don Giovanni viene ferito ad una gamba. Piu’ volte le navi avanzano e si ritirano, Venier e Colonna devono disimpegnarsi per accorrere in aiuto a Don Giovanni che sembra avere la peggio assieme all’onnipresente Marchese di Santa Cruz.

A sinistra, al largo, la situazione è meno cruenta ma un po’ più complicata. Giovanni Andrea Doria disponeva dello stesso numero di galee del Barbarigo ma davanti a se’ trova 90 galee, quasi il doppio dei nemici fronteggiati dai veneziani ed oltretutto in un’area molto piu’ ampia di mare aperto; per questo pensa ad una soluzione diversa dallo, scontato negli esiti, scontro diretto. Giovanni Andrea D’Oria infatti, ad un certo momento della battaglia si sgancia con le sue navi genovesi facendo vela apparentemente verso il mare aperto. Non e’ chiaro il motivo di questa manovra, fatto sta che, tornato sui suoi passi, egli piomba alle spalle dello schieramento ottomano e pur trovandosi di fronte ad un numero doppio di navi avversarie le dissesta totalmente.

L’epilogo

La visione del condottiero Ottomano decapitato contribuì enormemente a demolire il morale dei Turchi. Di lì a poco, infatti, alle quattro del pomeriggio, le navi ottomane rimaste, abbandonavano il campo, ritirandosi definitivamente. Il teatro della battaglia si presenta come uno spettacolo apocalittico: relitti in fiamme, galee ricoperte di sangue, morti o uomini agonizzanti. Sono trascorse quasi cinque ore quando la battaglia ha termine con la vittoria cristiana. Gli Ottomani contano perdite per 80 galee turche affondate, 117 catturate, 27 galeotte affondate e 13 catturate.

I Turchi persero 30.000 uomini tra morti e feriti. Altri 8.000 furono fatti prigionieri. Vennero liberati 15.000 cristiani che erano stati ridotti in schiavitù e incatenati ai banchi delle galee. Don Giovanni d’Austria a questo punto riorganizza la flotta per proteggerla dalla tempesta che minaccia la zona e invia un paio di galee a Messina per annunciare la vittoria.

La vittoria non porto’ i giusti riconoscimenti a Giovanni Andrea D’Oria. Le infamanti ed ingiuste accuse di scarso impegno o incapacità se non addirittura accordo con il nemico fomentate non a caso dai veneziani, lasciarono il segno influenzando molto anche il Pontefice, mentre poi, negli anni successivi, venne riconosciuta la sua superiore capacita’ navale tanto che Don Giovanni d’Austria lo vuole a suo fianco nell’impresa di Tunisi, Filippo II di Spagna lo considera suo “referente” a Genova, l’Imperatrice d’Austria viaggia sulle sue galee, Filippo II lo nomina Generale del Mare come il defunto zio Andrea, Orazio Pallavicino lo contatta come mediatore per la pace tra Spagna e Inghilterra, Filippo II lo nomina membro del Consiglio di Stato e Filippo III lo incarica di guidare la spedizione contro Algeri.

Gli Ottomani riuscirono a salvare circa un terzo (circa 80) delle loro navi e se tatticamente si trattò di una decisiva vittoria cristiana, la vittoria strategica lo fu ancor di più perché segnò l’inizio del declino della potenza navale ottomana nel Mediterraneo.

Armamenti

Sicuramente lo schieramento cristiano vinse anche grazie alla superiorità schiacciante delle inabbordabili e potentemente armate galeazze e al superiore armamento individuale: infatti i suoi soldati potevano contare sugli archibugi, mentre quelli turchi erano ancora armati con archi e dardi. Il vascello più importante dello schieramento cristiano, era la galeazza veneziana. Al contrario della galea comune, questa è sovradimensionata, con ponte a coprire i banchi dei rematori, parzialmente corazzata e pesantemente armata non solo a prua e a poppa ma anche sulle fiancate. Le linee in realtà possono trarre in inganno chi non le conosce confondendole con vascelli da carico, cosa che tra l’altro accadde ai turchi. Solo sei di queste unità rinforzano lo schieramento cristiano ma saranno tanto devastanti sulle galee nemiche quanto sul morale dei loro equipaggi. Per assurdo, con la galeazza si raggiunge l’apice dell’evoluzione della galea, ma nel contempo rappresenta il canto del cigno. Le galee con la loro propulsione a remi verranno progressivamente sostituite da velieri e quindi abbandonate. Le artiglierie pesanti utilizzate all’epoca sui vascelli possedevano un buon rapporto gittata-efficacia fin quasi al chilometro se puntate su schieramenti compatti. Naturalmente quel rapporto peggiorava notevolmente puntando il pezzo su singole galee con ampia libertà di manovra. Per quel che riguarda le armi di piccolo calibro, all’importanza della gittata è lecito pensare che si debba sostituire la capacità di penetrazione delle protezioni individuali nemiche, l’abilità nella mira e la velocità di ricarica del soldato.

I cristiani naturalmente attribuirono la loro vittoria soprattutto alla protezione della Vergine Maria, tanto che nell’anniversario della battaglia fu fissata la festa della Madonna del Rosario.

Conseguenze

Questa battaglia fu la prima grande vittoria di un’armata o flotta cristiana occidentale contro l’Impero Ottomano e, quindi, ebbe anche un’importanza psicologica dato che fino a quel momento i Turchi avevano vinto tutte le 8 principali precedenti battaglie contro i cristiani. Nonostante la devastante sconfitta turca, la scarsa coesione tra i vincitori impedì alle forze alleate di sfruttare appieno la loro vittoria ed ottenere una supremazia duratura sugli Ottomani.

L’Impero Ottomano, infatti (che pure aveva risentito duramente del colpo, tanto da far perdere il sonno per tre interi giorni al Sultano quando fu informato della disfatta), iniziò subito una poderosa opera di ricostruzione della flotta, che si concluse in 6 mesi e a seguito della quale, pur riacquistando la supremazia numerica nei confronti della coalizione cristiana, perse comunque il controllo completo dei mari, specialmente del Mediterraneo occidentale. La sconfitta, però, non permise ai Veneziani e all’esercito cristiano di riconquistare l’isola di Cipro che era caduta da appena due mesi in possesso ottomano.

Uno dei più famosi partecipanti alla battaglia fu lo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes, che venne ferito e perse l’uso della mano sinistra; fu ricoverato a Messina, al ritorno dalla spedizione navale, presso il Grande Ospedale dello Stretto, e si dice che, durante la degenza iniziò il Don Chisciotte della Mancia.

Autore: Dario Nanni